«Quello che sei parla tanto forte che non riesco a sentire cosa dici»
(R. W. Emerson)
(R. W. Emerson)
Che il linguaggio sia uno strumento di
comunicazione è noto. Esso è il riflesso dell’essere umano, e come tale è
organizzato con la stessa struttura. L’uomo,
attraverso il linguaggio, sia esso scritto o orale, descrive e rappresenta se
stesso ed il modo in cui è in inserito nel mondo di cui fa parte.
L’Universo, l’uomo che lo abita e la scrittura che egli esprime hanno la stessa
impalcatura, poiché rispondono alle stesse leggi universali: la legge della
polarità, la “colonna vertebrale” che
sostiene gli equilibri tra due forze opposte, in rapporto dinamico e
complementare.
Se il linguaggio è uno strumento per trasferire all’esterno
pensieri, opinioni ed emozioni, nel campo della grafologia, il percorso è
inverso, cioè lo studio del linguaggio scritto parte dal prodotto grafico per
giungere all’identità dello scrivente, e sondare gli equilibri tra le polarità
che lo sostengono. In ambito grafologico, infatti, molteplici sono gli aspetti
che vengono approfonditi, e diversi poggiano i loro equilibri su un asse
polare.
Una delle polarità base della grafologia è la dialettica tra Bianco
e Nero.
Quando noi comunichiamo, per esempio attraverso
un manoscritto, trattiamo non solo determinate argomentazioni, ma esprimiamo
anche il nostro modo di essere. Che lo vogliamo o meno, che ne siamo coscienti
o no, lasciamo sul foglio la nostra impronta personale, che parlerà di diversi
aspetti del nostro io.
Il messaggio scritto è veicolo di un’informazione che corre sui
binari della coscienza, cioè trasmette un’informazione esplicita che viene
decodificata e compresa dall’interlocutore che abbia appreso lo stesso codice
linguistico. Questo messaggio si dichiara attraverso l’inchiostro che facciamo
scorrere nello spazio del foglio. Per semplicità si attribuisce allo scritto il
colore Nero indipendentemente dal tipo
di colore d’inchiostro scelto. A seconda della forza che viene impressa allo
strumento scrivente, e degli spazi che vengono lasciati tra le parole, lettere
o righe, il Nero può imporsi e soffocare il Bianco del foglio oppure essere isolato, se non addirittura
sommerso dall’”alta marea” del Bianco che emerge e può diventare
dominante.
Il movimento della penna che scrive e propone il proprio messaggio
solo apparentemente s’impone sul Bianco, ma non è l’unico elemento che anima la
scrittura. Al contrario, lo scritto è il risultato della dinamica interazione
delle due componenti che operano nel gesto della scrittura. Sarà il modo in cui
lo scrivente traccerà i suoi passi sul foglio a lasciare esprimere in modo più
o meno armonioso il dialogo tra Nero e Bianco. Entrambi trasmettono quindi un
proprio messaggio, e nonostante quanto possiamo credere, non sempre la
conversazione tra questi due aspetti del nostro essere è così serena ed
unisonante.
Con il Nero, il
linguaggio scritto, traduciamo volontariamente il contenuto di pensieri consci in parole, che vengono espressi in
forma simbolica attraverso la scrittura. In altri termini, l’emittente impulsa un
messaggio volontario affinché il ricevente ne colga consapevolmente il
contenuto e risponda di conseguenza. Tale contenuto può riguardare qualsiasi
argomento, abbracciare tutti i campi della conoscenza, dell’interesse e variare
opportunamente secondo le circostanze. Il linguaggio come strumento espressivo viene
appreso nei primi anni di vita, attraverso simboli scritti, i grafemi (o
verbali, i fonemi), codificati e riconosciuti all’interno di uno stesso gruppo
linguistico-culturale. Distinti gruppi linguistici utilizzeranno codici e
tecniche di apprendimento diverse per un unico fine: imparare a tradurre i
propri pensieri in parole, o immagini disegnate. A livello neurologico questo
processo viene elaborato principalmente da specifiche aree di cervello di più
recente evoluzione filogenetica, contenute nella corteccia cerebrale, e che supporta
le funzioni cognitive e neuro-motorie dell’essere umano. Queste aree sono deputate
allo sviluppo di un pensiero cosciente ed alla sua trasduzione in forma
scritta, sfruttando il sistema neuromotorio che controlla i muscoli che impugnano
lo strumento scrittorio.
Il Nero veicola perciò un’informazione volontaria, quindi sottostà alle regole di apprendimento di un
linguaggio codificato. La capacità di comprendere un messaggio è insita in
tutti coloro che hanno appreso lo stesso codice linguistico dell’interlocutore.
Pensiamo ad un turista italiano davanti alla imperiale Città Proibita. Se ha
imparato la lingua dell’“Imperatore Giallo” si troverà più agevolato nella
comunicazione rispetto ad un suo compatriota che, ignorando totalmente questo
codice linguistico, non potrà nemmeno leggere né comprendere i cartelli che
indicano la biglietteria.
Ma nel momento stesso in cui la persona comunica attraverso
espressioni linguistiche codificate e coscienti, oltre al contenuto che vuole
trasmettere attraverso il Nero, emerge dal Bianco
un corteo di informazioni che trascendono il messaggio stesso, e traducono inconsciamente la segreta ed
intima identità di colui che lo emette ed
il rapporto che ha con il suo intorno. Questo perché il Bianco rappresenta
tutto il “mondo” del possibile, delle opportunità, le potenzialità. “Dare carta
bianca” equivale a lasciare libertà di scelta a tutte le decisioni, ed una
volta presa la propria posizione essa si dovrà esprimere “nero su bianco”. E’
spiegabile in questo modo il “blocco dello scrittore”, che si paralizza davanti
al Bianco del foglio, non riuscendo a far emergere da questo le proprie
riflessioni amalgamate nella nube dei pensieri che non riescono a prendere
forma. Così, il Bianco, apparentemente passivo ed inerte, traccia gli
invisibili percorsi che il Nero dovrà solcare, rendendo così manifesto,
attraverso il movimento della penna, il messaggio dell’Inconscio. Il Bianco
esprime infatti contenuti inconsci, ed è solo parzialmente suscettibile alle
circostanze.
I significati del Bianco, dell’Inconscio, non sono facilmente percettibili,
né per gli interlocutori e spesso nemmeno per colui che li comunica. I messaggi
che esso trasmette non hanno una direzione, cioè non sono rivolti ad un
destinatario preciso. Non sono controllati dalle facoltà cognitive ma vengono elaborati principalmente da aree cerebrali subcorticali
non ancora completamente definite, che modulano la parte inconscia della persona,
principalmente gli aspetti emotivi, e non rispondono a regole acquisite o
dettami culturali. Da queste aree i messaggi sono trasmessi e riconosciuti con
modalità altrettanto inconsce. E’ esperienza comune percepire, per esempio, il
buonumore della cassiera al supermercato, senza conoscerla personalmente o
saperne le ragioni. Questi messaggi inconsci non utilizzano codici predefiniti,
ma vengono trasmessi attraverso meccanismi simbolici inconsci, che coinvolgono
spesso aree cerebrali deputate al ragionamento di tipo analogico ed
irrazionale, localizzate prevalentemente nell’emisfero destro, che secondo
Freud era anche l’emisfero dell’inconscio.
Il Bianco è il messaggero delle nostre
emozioni, dei nostri punti deboli e delle nostre ambizioni, anche quelle più recondite e
celate. Ciò significa che ciò che volontariamente scriviamo come espressione
dei nostri pensieri, non necessariamente corrisponde a ciò che proviamo
intimamente. Ecco spiegato, perché i due messaggi non sempre sono all’unisono.
Anzi, spesso per necessità il messaggio del Bianco viene messo a tacere dal
contenuto del Nero, per evitare di esporre il lato più intimo e fragile di noi.
E’così che il Nero ed il Bianco sono i due protagonisti essenziali
che muovono la trama della nostra storia; il Nero si mette in mostra, esprime
se stesso coscientemente, ed il Bianco reclama la propria identità attraverso
una muta ed inconscia presenza. In
questa dinamica si svolge e si tende il filo che unisce le due polarità. Come
un gioco costante il detto ed il non detto, il conscio e l’inconscio, il Nero
ed il Bianco si compenetrano, si complementano, ed uno contiene il seme dell’altro. Il rapporto tra questi due
elementi polari della scrittura è di particolare interesse per i grafologi, che
attraverso questo dialettica Bianco-Nero, leggono ed interpretano l’equilibrata
relazione tra la componente conscia ed inconscia dell’individuo. Infatti, non è
il contenuto delle parole scritte l’oggetto di
interesse del grafologo, ma qualcosa che va oltre l’inchiostro, ed in
questo caso, è proprio il Bianco che riflette quella parte misteriosa e celata
che sta “dietro” le parole, e talvolta anche dentro il tracciato stesso,
lasciando una indelebile e personale impronta digitale.
Come citato ne “Il gesto grafico, il gesto creativo” di Nicole
Boille:
“Scrivere è
un’attività simbolica, spaziale e temporale, con cui il gesto grafico s’inscrive
su una superficie, lasciandovi la sua impronta, il suo ritmo, la sua energia,
per modulare una forma stabilita dal codice linguistico”.
Proprio per questo motivo che, se volessimo volontariamente
modificare la nostra scrittura nel tentativo di celare o camuffare la nostra
identità, non ci riusciremmo, poiché grazie a questo linguaggio inconscio, la
nostra volontà verrebbe tradita dalla nostra vera identità rivelata dal
grafologo.
Nonostante gli studi diversificati che abbracciano vari aspetti dell’elaborato
grafico, pilastro della grafologia rimane la contrapposizione tra la colata
d’inchiostro che trasmette con il Nero un messaggio “esplicito”, ed il Bianco che emerge, accompagnato da altre numerose
caratteristiche grafologiche che traducono il messaggio “implicito”. Questa antitesi e legame tra due poli opposti deve creare
i presupposti dell’Armonia della scrittura che Crepieux-Jamin definisce come “fatta delle sue proporzioni felici, della
sua chiarezza, dell’accordo fra tutte le sue parti”. Un equilibrio della
scrittura è certamente il riflesso di un equilibrio del paesaggio interiore
dello scrivente, sia intellettivo che emozionale.
Questo aspetto antitetico tra opposti che si armonizzano e
complementano sono ancora in fase germogliativa
nella cultura occidentale, ma riflettono la stessa dialettica che
affonda le proprie radici nella storia e cultura del lontano oriente, a cui la
società occidentale sta rivolgendo un crescente interesse.
Si sta sempre più diffondendo la rappresentazione del simbolo del
Tao, un cerchio (l’Essere globale) composto dalla reciproca e dinamica
interazione ed opposizione dei due principali rappresentanti: lo Yin e lo Yang.
E per non allontanarci dall’ambito simbolico della grafologia, sono proprio
rappresentati dai due colori antitetici: il Bianco e il Nero. Ma l’analogia non si ferma qui, se si analizza
con maggiore dettaglio questa dialettica, si riscopre che anche in quest’ottica
“olistica” si ritrova la polarità su cui l’uomo si struttura e vive quotidianamente.
Lo Yang
Rappresenta la sinistra, la luce, il sole,
il giorno, esteriorità ed esteriorizzazione, dinamicità, forza e protezione, il principio
maschile, il movimento, coscienza, il manifesto, esplicito, conscio ….
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Lo Yin
rappresenta
la destra, l’ombra, il buio, la notte, l’interiorità ed interiorizzazione,
staticità, creazione e nutrimento, il
principio femminile, riflessione, istinto, il segreto, interno, implicito,
inconscio…
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Il messaggio “esplicito”
che la coscienza trasmette attraverso la colata d’inchiostro: IL NERO, il messaggero del conscio.
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Il messaggio “celato”
che l’inconscio silenziosamente rivela
attraverso il “non scritto”: IL BIANCO, il messaggero
dell’inconscio.
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L’unità globale (Tao) è costituita dalle due componenti inscindibili
che ne danno forma, sostanza e significato. Attraverso la loro reciproca
interazione si manifesta l’unità. Così lo
yin e lo yang, l’inconscio ed il conscio, Bianco ed il Nero, sono uno
necessario all’altro, e solo quando interagiscono esprimono un significato che
va “oltre le righe”.
In termini grafologici, non ci
sarebbe colata d’inchiostro se non ci fosse foglio ad accoglierla, ne il foglio
trasmetterebbe un significato se non vi fosse lasciata alcuna impronta
personale attraverso il gesto grafico.
Come disse Ania Teillard “la
grafologia comprende due elementi: i segni grafici e la loro interpretazione.
Il suo problema centrale è dunque quello del rapporto fra elementi visibili (i
segni della scrittura) e elementi invisibili (i dati psicologici)”.
Jennifer Taiocchi