giovedì 10 gennaio 2013

GRAFOLOGIA OLISTICA




GRAFOLOGIA OLISTICA: la teoria della Gestalt





 
  

 “Creatura complicata l’uomo: sa tanto di tante cose,
ma conosce davvero pochissimo di se stesso”
Carl Gustav Jung


Il mondo che caratterizza l’interiorità dell’essere umano è ricco di sfaccettature distinte e mutevoli, come quelle che si scoprono scrutando da vicino un quadro. Tanti tocchi di colore, forme che costruiscono in posizioni diverse, geometrie e figure complesse ed uniche. Non sempre l’uomo riesce ad osservare e scoprire se stesso nella propria interiorità, ed ancor meno quando tenta di comprendere quella altrui, se non osserva tutte le sue diverse sfaccettature nel loro insieme globale.

Ognuno di noi è un universo a sé, estraneo agli altri, ma soprattutto inesplorato a se stesso. Il suo essere così unico, individuale ed irripetibile, viene svelato dal suo modo di comportarsi, di pensare, di parlare, di muoversi, e di scrivere. Come cita lo scrittore cinese Lin Yutang “ogni attività umana ha una forma ed un’espressione”. Quando l’espressione del suo pensiero si trasforma in movimento scrittorio, lo fa grazie ad un sistema nervoso centrale e periferico che si comporta come messaggero di emozioni che si schiudono sotto i primi raggi di coscienza. La mano, che appartiene ancora ad un nostro Io fisico, conduce la scrittura, e lascia trasparire sul foglio il riflesso del Sé, un’orma della propria individualità. La scrittura a mano diventa in questo modo un mezzo bivalente: con la scelta delle parole espone il contenuto dei pensieri, e con la modalità di stesura delle stesse rivela la sua essenza, le emozioni, la personalità, in definitiva rappresenta con il suo modello scrittorio l’integrazione anche temporale del proprio vissuto interiore trascorso, i moti emotivi presenti e le motivazioni che proiettano l’individuo verso il futuro. E’ per questo motivo che il grafologo non legge il testo del manoscritto (con l’eccezione di quello dei bambini), ma “legge” il modus scrivendi. La scrittura, in sostanza, de-“scrive” una verità intima attraverso l’uso di segni e forme simboliche, e la sua traduzione consente di “individuare” [1] il Sé più autentico dello scrivente. Ogni scrittura diventa quindi testimonianza della nostra identità cognitiva, sociale, relazionale ed emotiva. Non esiste una calligrafia identica ad un’altra, così come non esiste un individuo equivalente ad un altro, seppur si possano riscontrare somiglianze, o tentarne l’imitazione. L’individuo dipinge e proietta, infatti, la propria identità sulla carta attraverso un inconsapevole e singolare insieme di gesti grafici simbolici con i quali costruisce metaforicamente un organismo scrittorio del tutto personale. 

“Qualsiasi caratteristica dell’individuo, specialmente se si tratta di proprietà sostanziali, deve manifestarci l’individuo stesso… anche il cappello, che è qualcosa di incidentale alla persona, ha tutte le caratteristiche personali del soggetto. Per questo, chi ci conosce intimamente e fino ai minimi particolari, deve saper distinguere il vostro cappello da quello di chiunque altro”   (Girolamo Moretti)

Allora, come riesce il grafologo ad indagare questo mondo ineguagliabile ed a riconoscere il nostro cappello? Lo studio analitico e meticoloso della scrittura non si sofferma sul matematico tentativo di attribuire ai segni calligrafici uno specifico significato, sarebbe troppo riduttivo e sminuirebbe tutta l’arte della grafologia. Tale arte è assimilabile infatti a quella di un investigatore che dopo aver cercato e raccolto parsimoniosamente tutti gli indizi oggettivi, elabora la scena del delitto, il movente e l’identikit del colpevole. E’ proprio questa elaborazione il pilastro portante della grafologia, poiché il complesso di combinazioni simboliche che proiettano sulla carta un’individualità mente-corpo, è infinito, unico ed irripetibile, ed uno stesso simbolo grafico può assumere interpretazioni diverse, secondo il contesto simbolico in cui si trova. Si stima che si possano comporre nella nostra lingua italiana fino a 800.000 parole con le sole 21 lettere dell’alfabeto italiano. E con queste lettere e parole si sono scritti fiumi di libri di ogni tipo, articoli, saggi, testi di studio. Tutto varia secondo come scegliamo le parole, il ruolo che diamo loro e come le disponiamo nel testo per costruire gli enunciati.
Qualcuno potrebbe pensare “ma allora è vero tutto, ed il contrario di tutto?”. E’ il pensiero relativista che ci aiuta a comprendere che la verità presenta innumerevoli sfaccettature ed esse possono essere numerose quante sono le angolazioni da cui si osserva. L’orizzonte e la direzione possono anche essere identiche, ma diverso sarà il panorama se ci affacciamo al primo piano oppure all’attico dell’Empire State Building. E come sarebbe il nostro panorama se osservassimo la stessa Manhattan dall’oblò di un Airbus in transito a 10.000 metri di quota?
      

La realtà oggettiva è la stessa, ciò che cambia è solo la prospettiva, ed essa dipende da ciò che l’osservatore percepisce nel suo campo di osservazione, il paesaggio che si costruisce davanti ai suoi occhi. E non solo, se osserviamo ancora più attentamente, vedremo che quel paesaggio non è solo un insieme casuale, caotico e statico di unità, ma che in esso tutto è dinamico ed i vari elementi assumono senso secondo la modalità con cui si intrecciano e sono organizzate tra loro, formando un unicum

Applicando questi concetti alla grafologia ci vengono in aiuto le teorie psicologiche della Gestalt a cui la grafologia fa profondo riferimento. Gestalt è un termine che deriva dal tedesco e non ha una traduzione specifica nella nostra lingua, ma il suo significato si può assimilare a “forma”, “figura”, “struttura” o “creazione”.  Ci vuole indicare che la mente, attraverso determinate leggi, configura e struttura sotto forma di immagini gli elementi che le giungono attraverso i canali sensoriali (percezione) o della memoria (pensiero, intelligenza). La nostra esperienza all’interno dell’ambiente è costituita dalla percezione di un’insieme di elementi, la cui semplice somma non ci porterebbe alla comprensione del funzionamento globale delle cose. 

Tale inquadramento si illustra con l’assioma gestaltico “il tutto è molto più che la somma delle singole parti”, opponendo così l’idea di percezione elementare, dissociata e statica ad una percezione olistica e dinamica del mondo fenomenico.  Le singole parti diventano quindi elementi non solo affiancati tra di loro, ma in rapporto sinergetico, dove il loro valore si potenzia e definisce solo in rapporto al contesto in cui si trovano.
Nell’immagine proposta c’è un chiaro esempio di come l’immagine che il nostro cervello crea va oltre agli elementi floreali, suggerendoci un’immagine globale ed aggraziata di una donna che non vedremmo se gli elementi fossero disposti tra loro con rapporti diversi.
Se, anziché alla mente, applichiamo questo concetto al corpo fisico, ci rendiamo conto che non è sufficiente inglobare in una struttura scheletrica un insieme di organi e visceri per poter dire di aver creato una vita, un organismo funzionante. Questi devono necessariamente essere in rapporto sinergetico tra di loro, comunicare ed autoregolarsi vicendevolmente attraverso un meccanismo che ricerca un equilibrio omeostatico. Ciò significa che ad ogni cambiamento in una parte dell’organismo, ne corrispondono simultanei cambiamenti in altre parti, cioè ogni piccola variazione isolata si ripercuote necessariamente sull’insieme, ristabilendo un nuovo equilibrio. Anche in questo caso si ripropone una visione olistica del corpo vivente.

Trasponendo questo concetto alla scrittura si può comprendere come ogni singolo gesto grafico, detto “segno”, acquisisca un significato peculiare in relazione all’”ambiente grafico” in cui si trova, ovvero in funzione degli altri segni grafici presenti nel manoscritto, ed ogni modifica di un segno determina una nuova struttura grafica, detta appunto Gestalt. E’ questo un concetto della visione olistica applicata alla grafologia.
 
Per meglio comprendere, porterò un esempio. Se una scrittura ha una dimensione piccola, non potremo limitarci a descrivere una personalità introversa, ma dovremo cercare altri segni grafici accompagnatori che creino un contesto in cui ci si possa indirizzare verso un’identificazione più precisa delle qualità dello scrivente. Il significato di una scrittura piccola potrebbe infatti tradurre delle personalità tra loro molto diverse. Vediamo alcuni esempi:
·         personalità carente di autostima (se in aggiunta, le dimensioni delle lettere sono molto variabili, sproporzionate, schiacciate ed un tratto mal inchiostrato)
·         personalità riflessiva, razionale ed obiettiva (se scrittura dinamica, agile, sobria, evoluta)
·         persona schiva ed introversa che non esprime facilmente i propri sentimenti (se il tratto è nitido)
·         persona con tendenza all’isolamento (se ampia distanza tra parole e tra righe, con ampi margini)
·         personalità autoritaria e dispotica (tratto tagliente, angolosa, acuminazioni, barre delle t lanciate, punteggiature e finali esuberanti)
·         affaticamento, mancanza di vitalità, invecchiamento (associata a tratto leggero, poroso, fine, incerto, lento, rigo instabile o discendente)
·         personalità ambiziosa (se accompagnata da aste ascendenti lunghe e decise, tratto nutrito, rigo ascendente, firma importante)

Chi scrive compone il proprio mosaico. Da un insieme sparso di pietruzze, sceglie i frammenti di colori, forme, e le incastra, creando l’immagine personale del Sé, riconoscibile, apprezzabile e che trasmette una propria individualità.
Allo stesso modo avviene in musica. I grandi compositori sanno esprimere a tutti i livelli la loro capacità di unire tra di loro solo 12 note per creare un’identità unica e meravigliosa. Ad esempio, il compositore Tchaikovsky ha realizzato in sinfonia musicale un’identità fiabesca come quella de “Il lago dei cigni”, unendo i diversi timbri degli strumenti, ed attribuendo ad ognuno il proprio ruolo compositivo e scenico, in una danza di armonie e melodie. Il risultato finale è non solo una famosissima composizione magistrale, ma una vera e propria immagine musicale. 

In definitiva, il grafologo è colui che penetra l’opera artistica, salendo sul palcoscenico degli artisti ed analizzando le loro singole partiture, per poi tornare in platea ed assaporare la sinfonia di note che si rincorrono da uno strumento all’altro creando un dialogo prestabilito, ora pacato, ora effervescente o malinconico, trasmettendo così le emozioni del compositore, dalla partitura direttamente all’anima di chi lo ascolta.

“Sempre in un’analisi grafologica, peseranno molto il talento e la grazia del grafologo, la decisiva capacità di intuire espressioni e abbracciare degli insiemi; sembra dono innato in taluni e quasi impossibile da sviluppare in altri. Inoltre, poiché non ci sono due scritture identiche, né possono esistere, una scrittura concreta opporrà sempre alla scienza grafologica l’invisibile barriera che ogni individuo oppone a tutta la scienza. Dell’individuo non esiste né concetto né scienza, recita la filosofia… la grafologia applicata sarà, perciò, sempre, un’arte”
J. Crepieux-Jamin


Jennifer Taiocchi


[1] Il processo d’individuazione è meccanismo studiato da Jung per identificare un processo umano volto alla riscoperta del Sé nel tentativo di far emergere la parte inconscia ed integrarla in modo armonico con la parte di sé conscia. Questo processo durerebbe tutta la vita, ma non si compirebbe mai totalmente, poiché permane nell’essere umano una parte inconscia non esplorabile.